
Allora con migliaia di soldati americani presenti in
Italia, il NYT raccontava agli americani, questo paese e il
suo cibo, ma negli USA la pizza era mangiata soltanto dagli immigrati italiani.
Arriviamo negli anni 2000. L’era di marketing
culinario, con i riflettori puntati sugli chef, gourmetizando ogni cosa
poggiassero su un piatto.
Anche i pizzaioli poggiavano buon cibo sul piatto, ma
come fossero i cugini poveri degli chef. Nessuno se le filava.
I napoletani, detentori di paternità della pizza.
Hanno sempre sventolato in alto la bandiera dell’orgoglio pizzaiolo, mentre le
svariate tipologie di pizza italiana sembravano invisibili.
Nel 2007, fra i pochi foodbloggers dell’epoca,
circolavano articoli che nei pressi del Vaticano, c’era Gabriele Bonci a sfornare pizza al taglio con strani grani, lievito madre e abbinamenti squisiti.
Girare per Roma, senza incappare
in una pizzeria è impossibile, eppure al Pizzarium,
buco dove Gabriele creava le sue leccornie, c’era sempre la fila.
Mi sfugge chi sia arrivato per prima, se Ian Fisher,
allora corrispondente de NYT a Roma o Vogue America che
lo denominò il “Michelangelo degli impasti”, titolo poi rimbalzato al
britannico The Guardian.
Quello ben che mi ricordo è la mattina del 2009, in
cui mi ritrovai a fissare le manone di Bonci, a La Prova Del ucoco.
Spesso affiancato dal suo mugnaio
Fulvio Marino. Ogni Giovedì ci raccontava
impasti e ingredienti, con un orgoglio che sapeva d’amore.
Potrà sembrarvi strano ma io, che usavo il lievito
madre, allora roba da pochi, mi sentivo rappresentata in quel’omone alla TV.
In lui avevo la conferma, che quello che facevo era
bello.
Quella rubrica settimanale nel showcooking del
momento, era il segno della fine dei tempi, in cui la pizza prima considerata troppo popolare, rimaneva
fuori dalle ribalte gastronomiche.
Assistevamo alla genesi dell’interesse mediatico sui
pizzaioli.
Giornalisti e
blogger di ogni estremità del sistema solare accorrevano da lui e per
raccontare al mondo del Michelangelo della pizza.
Anche Anthony Bourdain. L’eterno cercatore del santo Graal gastronomico,
addentando le croccantezze di Bonci ne tesse le lodi.
Alcuni brand,
soprattutto di farina, hanno incominciato a scegliere bravi pizzaioli da
posizionare (col marchio ben in vista) sotto le luci degli eventi gastronomici.
È il capitalismo baby. La logica del venderci da “farine raccolte in
notte di luna piena da una vergine” a persone talentuose che rappresentino un
marchio.
La gastronomia italiana è un ricco patrimonio d’idee. Basta una lucina che
emergono dal’ombra, storie di uomini e donne, con specificità regionali belle. Che siano i metodi capitalisti a mostragli fa
parte del nostro tempo.
Poi nel 2012 il Gambero Rosso assegnando al Veneto Simone Padoan il titolo
di Migliore pizzeria d’Italia, cosa già riconosciuta da molti, si tirò addosso
le furiose le proteste Campane contro il “razzismo gastronomico”.
Dal 2013 Il Gambero lanciò la guida delle migliori pizzerie. Divise per
tipologie, segnando “spicchi” in modo che equamente ci fossero tutte le
rappresentanze d’Italia.
In quel’anno e nel successivo, c’ero pure io, fiera dei mie spicchietti.
Oggi non è più novità vedere pizzaioli in TV, ma credetemi, sulla pizza c’è
ancora molto da raccontare.
Indietreggiamo ancora?
Esattamente nel 1947, sempre sul NYT,
un altro articolo lodava il cibo che soldati americani, tornati a
casa, consumavano nei posti gestiti dagli immigrati italiani “La pizza
potrebbe diventare uno spuntino popolare come l’hamburger, se solo gli
americani la conoscessero”.
Non vi è sembrata una profezia?
Oggi i più grandi venditori
di pizza al mondo, sono gli americani di Pizza Hut.
È sempre il
famigerato il capitalismo baby. Ci insegna che chi dorme non piglia pesce.
L’Italia s’è
desta?
Dov’è la
vittoria italiana nella pizza, in un mondo dominato da Pizza Hut?
Sappiamo che
La pizza è buona, ma è importante continuare a dirlo.
Quindi vi consiglio
un libro di Giunti Editore, dove tre donne italiane, con La Buona Pizza, ci raccontano dieci pizzaioli e le sue pizze.
Queste tre donne sono le moderne profetesse della pizza ti fanno capire l’Italia in dieci morsi.
Le parole di
Tania Mauri e Luciana Squadrilli, con le Fotografie di Alessandra Farinelli, hanno creato
un racconto d’amore per questo cibo popolare e ricco di storia, ma che ha
bisogno di profeti
Questo libro ci mostra che abbiamo abbiamo profeti in patria per una vittoria tutta italiana.
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Presentazione del libro a Dievole |
Condivido, interessante, grazie.
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